Pretesti della memoria
per Armando Petrucci
di
Antonio Maria Adorisio
Armando
Petrucci è morto a Pisa il 23 Aprile 2018. La notizia comparsa sui giornali ha
provocato in me un effetto di “macchina del tempo”. D’un balzo ha colmato una
distanza di decenni. Avevo conversato con lui telefonicamente (e fu l’ultima
volta) nel 1994, in quei giorni d’euforia generata dal recupero delle Tusculanae disputationes con le postille
autografe di Francesco Petrarca, prima Guarnieri, poi Baldeschi Balleani. Aveva
accolto la notizia che gli comunicavo con una sincera allegrezza. E come non poteva
essere così per lui che della scrittura di Petrarca è stato il massimo esploratore?
Non ricordo
quello che allora dicemmo, ma ripensando a quel contatto, la mia memoria come
un cerchio si chiude sul primo incontro con lui, segnato proprio dalla
scrittura del Petrarca. Neo-laureato in Storia dell’arte, approdo alla Scuola
speciale per archivisti e bibliotecari. L’anno accademico è quello del
1965-1966, il corso di lezioni che Petrucci svolge sub umbra del sommo Giorgio Cencetti s’intitola: Origini e sviluppo della minuscola
umanistica in Italia. Le lezioni sulla scrittura di Francesco Petrarca sono
il cuore del corso e l’anteprima del suo conosciutissimo libro: La scrittura di Francesco Petrarca,
pubblicato nel 1967 nella collana “Studi e Testi” della Biblioteca Apostolica
Vaticana.
Alcune
lezioni si svolsero nella Biblioteca Corsiniana, dove lui rivestiva l’incarico
di Vicedirettore. Una piccola foto conserva la memoria visiva di una lezione
sul terrazzo della Biblioteca prospiciente l’Orto botanico e il Colle
Gianicolo, da cui alle ore 12 in punto esplodeva la tradizionale cannonata a
salve. Attorno a lui, oltre chi scrive, i volti di aspiranti paleografi e
bibliotecari.
Quel corso
universitario è particolarmente importante per più d’un motivo. In quelle
lezioni Armando Petrucci formula lucidamente quella ideologia della sua ricerca
a cui egli rimarrà fedele lungo tutto il percorso di studioso, volta (parole
sue): «alla dimostrazione della stretta connessione esistente fra paleografia,
storia della cultura e storia sociale» (cfr. Dispense dattiloscritte).
Lo sforzo di
superare i tecnicismi delle diverse scritture spingendole a significare manifestazioni
eloquenti della storia della cultura continuò nel successivo anno accademico
1966-1967 con il corso dal titolo: I
codici e le stampe volgari del Quattrocento. Consapevole d’infrangere ormai
il confine tradizionale della paleografia, egli dichiara sin dall’inizio che la
materia del corso può definirsi di bibliologia. Nel Quattrocento si manifesta
una netta frattura tra cultura umanistica e cultura del volgare determinando
una differenziazione degli strumenti e dei prodotti scrittori, nonchè delle forme
e delle prassi culturali. Lo sviluppo delle scritture individuali, l’avvento
della tecnica della stampa, la storia della formazione e del vario sviluppo delle
raccolte librarie costituirono alcune delle trame volte a tessere la storia
culturale del volgare.
Si ravvisa
nel corso un embrione del saggio pubblicato nella Storia della letteratura italiana
della Einaudi a cura del suo amico Alberto Asor Rosa (che Petrucci chiamava
affettuosamente Albertino) e, più recentemente, riedito con il titolo: Storia e geografia delle culture scritte
(dal secolo XI al secolo XVIII), in: Letteratura
italiana: una storia attraverso la scrittura (Roma, Carocci, 2017).
In questa
prospettiva di storia sociale della cultura scritta trovano la loro
collocazione le biblioteche, private e pubbliche, religiose e laiche. Perciò il
corso dell’anno accademico successivo, il 1967-1968, ebbe per tema la storia
delle biblioteche. Nella prima parte si studiarono: Le biblioteche altomedievali italiane (secc.VI-XII), a cominciare
dalle antiche biblioteche papali a quelle del Vivarium di Cassiodoro e del monastero di San Colombano di Bobbio. Nella
seconda parte fu considerata La
biblioteca di Angelo Poliziano, alla cui conoscenza aveva dato un
fondamentale contributo il notissimo saggio di Ida Maīer, Les manuscrits d’Ange Politien (Genève, 1965). La biblioteca
dell’Ambrogini, con manoscritti e incunaboli soggetti a continui interventi
interpetrativi autografi, manifestava una sensibilità critica del leggere e
dello scrivere nuova e modernissima. Non fu perciò solo casualità se, pochi
anni dopo, il nuovo bibliotecario della
Casanatense potè riconoscere un incunabolo dell’Anthologia Graeca con interventi autografi del Poliziano (cfr. Italia Medioevale e Umanistica, 1973).
Tra il 1965 e
il 1968 le lezioni di Armando Petrucci rappresentarono un vivace focus di riferimento per molti di noi
che, intanto, si apprestavano a partecipare al concorso per bibliotecari, svoltosi
tra il 1967 e il 1968. Tuttavia non si deve dimenticare che in quegli anni il
frequentatore dell’Istituto di Paleografia latina poteva seguire e ascoltare
corsi e lezioni di paleografi quali Giorgio Cencetti, Giulio Battelli, Paola
Supino, di diplomatisti come Alessandro Pratesi, di storici dell’arte quale
Sergio Samek Ludovici, fine conoscitore di grafica e storico dell’illustrazione
del libro a stampa, e ancora il grande Luigi Magnani, musicologo e facoltoso
collezionista di pittura antica, di cui restano indimenticabili lezioni sui
codici miniati tardo-antichi e altomedioevali.
Un ambiente
culturale ricco come pochi, in cui si operava un’intensa osmosi di conoscenze e
nascevano idee e progetti.
Il 1968
costituì un anno cruciale. Coloro che avevano partecipato e vinto il concorso
raggiunsero le biblioteche loro assegnate. I legami con l‘università si
sciolsero. Armando Petrucci, poi, passò dapprima all’università di Salerno, poi
ancora a Roma, e definitivamente a Pisa.
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