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lunedì 4 gennaio 2010

BRUNO «ECCELLENTISSIMO CHIRURGO».

Un emigrante d'eccezione: Bruno da Longobucco
dalla Calabria a Padova.

 Sono grato al Sindaco di Longobucco, Arch. Emanuele V. De Simone, per il cortese invito a scrivere una breve premessa per gli Atti della prima edizione del Premio Internazionale di Medicina "Bruno da Longobucco". Il contributo che posso dare è strettamente legato alle mie competenze paleografiche, bibliografiche e storiche, che hanno guidato e guidano i miei studi verso il recupero della tradizione scrittoria di lingua latina, sviluppatasi in Calabria accanto a quella di matrice ellenica sin dai tempi della dominazione Normanna (1060 d.C.). Nell'ambito di questa linea di studio ho ricercato, raccolto e studiato le testimonianze grafiche degli scrittori latini calabresi. Fra questi è certamente da annoverare Bruno da Longobucco, che, come nativo del mio stesso paese, è stato oggetto da parte mia di una particolare attenzione. Di lui ho raccolto nel corso degli anni una buona documentazione relativa ai codici manoscritti delle sue opere e alle edizioni a stampa, che spero di mettere a disposizione degli studiosi, affinché il lavoro fatto torni d'utilità generale.

Negli anni '50 e '60 del trascorso secolo, -quelli della mia età studentesca-, a Longobucco, paese natale di Bruno «eccellentissimo chirurgo», come lo definì Thomas Salmon nel Settecento, non molti ricordavano il suo nome. La cultura del tempo non lo consentiva. L'accesso allo studio era possibile solo a pochi e a prezzo di molti sacrifici individuali e delle famiglie. Lo studio obbligava a lunghi soggiorni nelle lontane città d'altre regioni dov'era possibile seguire i corsi universitari. In Calabria l'Università arriverà solo negli anni '70. Per tale motivo c'era un gruppo di studenti che compariva in piazza solo durante le vacanze estive. Non diversamente, almeno in questo, dagli altri longobucchesi costretti dall'iniquità dei tempi ad emigrare in cerca di lavoro all'estero o nell'Italia del nord. Ci fu allora chi per indicare quel gruppo di studenti coniò la definizione di "emigranti di lusso". Gli emigranti in terre lontane trovarono spesso condizioni di lavoro difficili e dure. Al loro confronto gli studenti che si recavano a Napoli, a Roma, a Firenze, a Bologna o a Milano poterono sembrare persone che andavano a divertirsi in città e il loro lavoro intellettuale facile e senza rischi.

A tutti oggi appare chiaro che non è così, anzi, vorrei aggiungere, che non è stato mai così. La fatica dello studio serio non è meno impegnativa d'altri lavori, non meno incerti ne sono i risultati e gli sbocchi professionali. La formazione intellettuale e la frequenza delle sedi universitarie richiede la mobilità, l'incontro, il contatto, l'esperienza e lo scambio delle conoscenze a livello nazionale e internazionale. Tutto questo presuppone lavoro, sforzo, tenacia, costanza, fatica la cui resa, se non immediata, c'è, ma si coglie a più lungo termine.

Bruno da Longobucco è stato anch'egli un emigrante che, per coltivare la sua vocazione allo studio, ha dovuto lasciare il paese. La sua fedeltà alla chiamata, gli sforzi richiesti per seguirla e, infine, i risultati ottenuti appaiono paradigmatici.

Del resto vorrei osservare che proprio il recupero della memoria di Bruno da Longobucco, finalmente liberato dalla "polvere dell'oblivione", per usare una locuzione di Tommaso Bartoli nostro primo storico cittadino, può essere letto come un'acquisizione di conoscenza e di consapevolezza raggiunta attraverso lo studio. La crescita culturale della società longobucchese, che oggi può contare su risorse d'alto livello intellettuale operanti sul luogo, ma anche fuori, consente di ricordare, illustrare e celebrare una personalità della cultura che travalica i confini municipali per imporsi all'interesse scientifico universale.

Bruno nasce a Longobucco nei primi anni del 1200, secondo un'ipotesi generalmente accolta e a suo tempo formulata da Francesco Russo in un saggio storico ancor oggi utile. Con lui anche i biografi successivi costatano desolatamente che abbiamo poche notizie sulla nascita, la vita e la morte di Bruno. Gli archivi storici di Longobucco, decimati dal tempo, ma anche quelli di Padova, città ben più ricca di depositi documentari, non hanno restituito sinora alcun documento.

Tutto quel che si conosce di lui, gli storici lo ricavano dalle sue opere. Tuttavia a noi, suoi concittadini, non ignari degli sviluppi storici e sociali della nostra popolazione, si offre la possibilità di riflettere su alcune situazioni locali che potrebbero avere influenzato la vicenda esistenziale di Bruno.

Soffermiamoci brevemente sullo stato politico e territoriale che fa da sfondo alla storia di Longobucco nei primi decenni del Duecento.

Sotto il profilo politico sono anni di grandi turbolenze e incertezze istituzionali. I territori del Regno meridionale sono percorsi dalle truppe dei baroni tedeschi che, dopo la prematura morte di Enrico VI nel 1197, tentano con diversi pretesti di approfittare della minore età di Federico, il legittimo erede. La casata Sveva, inoltre, era impegnata a dare sostegno alle truppe crociate, che dai porti del Regno meridionale partivano per la Terra Santa. La controversa impresa della quarta crociata si svolse proprio in quegli anni, tra il 1202 e il 1204. Innocenzo III, il gran papa regnante dal 1198, aveva preso sotto la sua protezione Federico II nella speranza di farne il condottiero cristiano che riconquistasse Gerusalemme e il Sepolcro di Cristo, caduti nelle mani del Saladino nel 1187. In questa situazione dominata dai sinistri bagliori della guerra, Enrico VI prima e, poi, Federico II, aveva necessità di metalli d'ogni genere, in particolare di ferro per fabbricare le armi, di argento per coniare le monete con cui pagare cavalieri e soldati e rimpinguare le casse del Regno. Nel caso, poi, di Federico, lo «stupor mundi», allora ancor giovane, possiamo anche mettere in conto la vocazione e la passione che aveva per gli oggetti preziosi e raffinati con cui temperare la vita militare e abbellire la vita di corte. Sotto il profilo economico e sociale in questi anni avviene anche una grande trasformazione dell'economia, con lo sviluppo e il predominio delle attività commerciali, cui si accompagna una fase d'intensa urbanizzazione e un conseguente afflusso di popolazione nei centri urbani, che si arricchiscono di risorse umane e produttive.

In questo quadro Longobucco, centro minerario noto dall'antichità per le vene di metallo argentifero, attraversa un momento assai favorevole, la cui conoscenza è affidata ad una documentazione purtroppo non abbondante, ma sufficiente.

Una notizia degna di nota proviene dalla raccolta agiografica che descrive i fatti miracolosi dell'abate Gioacchino da Fiore. Fra questi miracoli, raccolti fra XIII e XIV secolo, ce n'è uno che racconta un prodigio operato a Longobucco dall'abate Gioacchino. L'Abate vi si era recato per procurarsi argento per far confezionare dei calici da messa. Nell'ambito delle vicende biografiche di Gioacchino, tale soggiorno dovrebbe collocarsi cronologicamente tra il 1197 e il 1202. Longobucco appare in questo racconto come una piazza mercantile dove si compra e si vende l'argento.

Un'altra interessante notizia proviene da un diploma datato nel 1197, malauguratamente perduto in originale, nel quale Enrico VI di Svevia nomina un certo Petrus de Livonia prefetto delle miniere di Longobucco. Tale documento, però, nella copia tarda da cui è conosciuto e edito, presenta alcune incongruità che non rassicurano sulla sua autenticità. In ogni caso questa notizia, vera o no, esprime una realtà comprensibilmente oggettiva: l'interesse dei Regnanti del tempo a tenere il centro minerario sotto il loro diretto controllo.

La politica mineraria messa in atto da Federico II, figlio e successore di Enrico VI, manifesta più precisamente questo interesse. Una concessione, rilasciata in Messina nel Maggio 1210, assegna al monastero gioachimita di San Giovanni in Fiore il diritto di scavare liberamente e senza aggravi fiscali ogni miniera di ferro nell'ambito dei territori del monastero e, inoltre, di ricevere una percentuale di metallo da ogni miniera della Calabria. Tale documento rivela esplicitamente l'attenzione del Regnante per le attività minerarie, contribuendo ad avvalorare anche le circostanze della visita di Gioacchino da Fiore a Longobucco poc'anzi ricordate.

Il quadro economico e politico tracciato e queste particolari notizie persuadono che a Longobucco, sin dall'inizio del sec. XIII, si praticarono attività estrattive e minerarie. In questo quadro vorremmo collocare la nascita di Bruno, non solo quella anagrafica ma anche quella professionale.

La guerra e le attività minerarie sono per loro natura azioni tali da provocare ferite, traumi, malattie, e, talvolta, morte. L'argento e il piombo, in particolare, sono minerali che in determinate condizioni possono intossicare gli organismi viventi. Facilmente possiamo immaginare Bruno adolescente, nell'età in cui fioriscono le vocazioni professionali, osservare nelle fucine del paese i procedimenti estrattivi del metallo bianco e assistere probabilmente a eventi traumatici, quando gli operai restavano vittime d'incidenti sul lavoro. Il lavoro fonte di vita e di ricchezza poteva trasformarsi improvvisamente in causa di sofferenza e di morte. Lo stesso dicasi di qualche concittadino assoldato nelle milizie delle opposte fazioni politiche, che ritornava in paese con ferite da armi e mutilazioni ricevute in battaglia. Una miniatura dell'epoca, che illustra il Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli, nel codice conservato a Berna (Burgerbibliothek, 120), raffigura efficacemente le conseguenze sanguinose di questi scontri. In quei tristi tempi la presenza di un medico, meglio se chirurgo, tornava quanto mai utile e necessaria.

All'attenta osservazione di Bruno non sfuggiva nemmeno la frequenza locale di certe patologie, quale il gozzo. Se ne ricorderà, infatti, nella Chirurgia magna quando indicherà nella qualità dell'acqua una causa della malattia: «in Calabria, ad esempio, … è molto frequente per la viscosità e la grossezza dell'acqua».

Non è da ritenersi improbabile che tutte queste circostanze occasionali e ambientali abbiano alimentato nell'animo del giovane Bruno la vocazione e il proposito di dedicarsi all'arte medica.

Di natura più complessa appare il problema concreto della formazione e degli studi di Bruno. In mancanza di documenti espliciti, gli studiosi hanno espresso ipotesi varie e differenti, che per necessaria brevità non possono ora essere esaminate. Avrà egli compiuto i primi studi nella scuola episcopale di Rossano, o nell'analoga scuola diocesana di Cosenza? Avrà lasciato la Calabria precocemente alla ricerca di una sede scolastica più consona ai suoi obiettivi, quale la famosa Salerno?

Certo è che, quando a Padova nel 1252 egli scrive la Chirurgia magna, nel prologo dichiara di aver letto i testi dei medici antichi, nonché di Galeno, di Giovanni Damasceno, di Ioannizio, dei medici arabi: Avicenna, Almansore, Albucasi, Hali-ibn-Abbas. Ma, soprattutto, emerge con evidenza la precisa strategia di apprendimento adottata per seguire la sua vocazione. Bruno aveva capito che il chirurgo deve imparare dall'esperienza concreta. L'arte chirurgica, non diversamente da ogni altra arte, dopo l'acquisizione di una base teorica, s'apprende con gli occhi vedendo fare e si pratica con le mani. Perciò egli scrive: «È inoltre necessario che gli operatori di chirurgia, …, frequentino i luoghi nei quali si trovano spesso gli esperti di chirurgia, e osservino a lungo e con rigore le loro operazioni, non essendo né temerari né audaci, ma molto delicati e cauti nell'operare». Per recarsi nei luoghi dove vedere all'opera i chirurghi esperti, Bruno aveva dovuto lasciare il paese natale. Il giovane studente, forse anch'egli indicato dai suoi contemporanei come un "emigrante di lusso", aveva sacrificato affetti e amicizie alla sua vocazione.

L'ansia di conoscenza lo portò nelle sedi dove imparare e perfezionarsi. Dalla Calabria, come pare, raggiunse Salerno, Bologna e, infine, Padova, dove si fermerà e dove, ormai famoso, gli fu chiesto di scrivere la sua dottrina. A Padova, infatti, nacque la Chirurgia magna e, poi, la Parva, i cui codici scritti in latino saranno subito copiati e tradotti in ebraico, in tedesco, in francese e, ancora, volgarizzati in lingua italiana, diffondendosi così nell'Europa intera.

Nel libro, pur benemerito, del Tabanelli, è stato impropriamente scritto che i codici di Bruno «non sono numerosi» e «ciò confermerebbe la scarsa diffusione che ha avuto l'opera di questo Autore». Oggi, con più mature conoscenze e con più pazienti ricerche, posso sicuramente smentire tali affermazioni, con l'impegno di poterlo presto dimostrare in una pubblicazione.

Bruno e le sue due opere, sin dal secolo in cui visse e morì, sono ben presenti nella cultura e nelle biblioteche degli studiosi. I codici della Chirurgia magna e della Parva si contano a decine e cominciarono a circolare mentre egli era ancora vivente. Per fare un esempio, il codice Ottob. lat. 2082, conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana, fu copiato nel 1285, anno in cui Bruno è ancora vivo e che precede quello della morte, secondo la cronologia della vita proposta da Francesco Russo. La fortuna di Bruno durò a lungo e fu assecondata dall'invenzione della stampa: la sua opera ha avuto due edizioni nel 1498 e nel 1499, e altre ottime edizioni nel secolo successivo.

La ripresa degli studi che si è verificata nel secolo appena trascorso, se ci ha dato i contributi di Francesco Russo, Enrico Pispisa, Mario Tabanelli, non ha potuto colmare la mancanza di un'edizione critica moderna delle opere di Bruno. Per leggerle nella lingua in cui egli le ha scritte, il latino, dobbiamo ricorrere alle antiche edizioni stampate tra il 1498 e il 1546. A tutti è noto come la conoscenza scientifica del pensiero e della dottrina di uno scrittore non può che essere fondata su un testo criticamente corretto delle opere. Anche il libro coraggioso pubblicato recentemente dal Prof. Focà, allo scopo di divulgare in lingua italiana la dottrina chirurgica di Bruno, è dovuto ricorrere all'edizione dei Giunta del 1546.

Il rinnovato interesse per la figura di Bruno da Longobucco nel mondo della ricerca universitaria, sull'onda di un più generale indirizzo verso la storia della scienza, cui il mondo d'oggi affida grandi speranze di rinnovamento e di progresso, sicuramente gioverà ad una più approfondita conoscenza della sua figura e della sua opera.

Hoc est in votis.
Per noi suoi concittadini, intanto, è già avvenuto un evento fondamentale: il ritorno e la reintegrazione di Bruno nel patrimonio culturale di Longobucco e della comunità cittadina. Il paese che gli ha dato i natali e lo ha visto emigrare come un oscuro giovane, lo può celebrare oggi come la figura luminosa ed esemplare di un uomo che, con il lavoro e con lo studio, ha donato agli altri la sua esistenza.

[Pubblicato in: Atti Premio Internazionale di medicina Bruno da Longobucco. Storia e tradizioni scientifiche in Calabria. Longobucco, 24 agosto 2005, Cosenza, Plane, 2005 (Comune di Longobucco), pp.7-18].




 (N) Oslo, Archivverket Riksarkivet, Riksarkivets Fragmentsamling.
Frammento di un codice della Chirurgia Magna di Bruno da Longobucco, ritrovato nell'Archivio della città ove oggi si conserva.



L'opera annunciata, che elabora un'elencazione tendenzialmente esaustiva dei codici di Bruno da Longobucco, ha visto la luce nel volume:

ANTONIO MARIA ADORISIO
 I codici di Bruno da Longobucco. In appendice il titulus finalis inedito della Chirurgia Magna
Edizioni Casamari, 2006 (Con il patrocinio dell'Amministrazione Comunale di Longobucco)
cfr. Bollettino delle Nuove Accessioni, 2009, Aprile



    «L'amministrazione comunale di Longobucco non poteva fare francamente a meno di patrocinare la presente pubblicazione del dott. Adorisio, uno dei nostri "emigranti d'eccezione" che con il loro studio, lavoro e impegno onorano quotidianamente questa terra ... Un longobucchese che studia un longobucchese, un ideale legame fra passato e presente della nostra comunità; un ideale legame con il nostro "glorioso" passato che deve spingerci anche ad un maggior impegno per il futuro. Queste pagine colmano una "insopportabile" lacuna. Non è vero, infatti, che gli scritti di Bruno abbiano avuto una scarsa diffusione. Adorisio ben argomenta l'importanza del pensiero e dell'opera dell'«eccellentissimo chirurgo», documentando l'ampio numero di manoscritti, negli originali latini e nelle traduzioni in ebraico, tedesco, francese, italiano. Di ogni codice sono annotate le caratteristiche tecniche, testuali e bibliografiche» (dalla Presentazione di Emanuele V. De Simone).